Finalmente ci siamo: domani martedì 6 agosto 2024 alle ore 19 ci sarà la presentazione del mio ultimo libro sul filosofo calabrese Francesco Fiorentino (1834-1884). Il lavoro scaturisce dal ritrovamento nelle carte che erano state conservate dalla famiglia di Michele Pane (il noto poeta di Decollatura) di un centinaio di lettere, per lo più quelle che Francesco Fiorentino aveva indirizzato agli zii di Adami. A queste, dagli stessi familiari di Pane, erano state aggiunte altre lettere – per esempio molte indirizzate alla moglie Restituta Trebbi – successivamente entrate nella loro raccolta.
Il contenuto era troppo interessante per lasciare ancora per un altro secolo quei preziosi documenti dormire il sonno dell’oblio e perciò ho dciso di pubblicarle insieme a molte altre che ho reperito da diverse fonti, giungendo a un totale di 296 lettere.
Il volume è corredato da fotografie inedite del filosofo, della moglie, dei figli, della marchesa Marianna Florenzi Waddington, nonchè da indici che consentono l’agevole accesso ai contenuti del volume.
Oltre alla corrispondenza familiare ci sono due altri punti importantissimi toccati nel volume: il primo è la questione genealogica, cioè l’origine della Famiglia dei Fiorentino, che, come si vedrà, è ricca di sorprese; il secondo è la nota polemica che vide contrapposti Francesco Fiorentino e Giosuè Carducci nel 1868 nell’Università di Bologna e che nel volume viene ripresa, anche attraverso le lettere, di cui alcune inedite.
Il sottotitolo per i volumi di un epistolario di solito contiene l’indicazione dell’anno del primo documento e di quello dell’ultimo. Nel mio caso però ho dovuto indicare due periodi di cui il primo 1853-1884 si riferisce all’epistolario durante la vita di Fiorentino, mentre la seconda parte 1885-1942 riguarda la corrispondenza intercorsa tra la moglie, i figli, altri familiari con diversi personaggi coinvolti in eventi successivi alla morte del filosofo e riguardanti la sua vicenda culturale e personale.
Ho ritenuto che il luogo più indicato per la presentazione del libro fosse il centro storico di Sambiase per la suggestione che può creare il ritrovarsi a distanza di 190 anni negli stessi luoghi in cui si affacciava alla vita Francesco Fiorentino. La Chiesa dell’Immacolata sorge nel luogo più emblematico dell’antica Sambiase, e la cui centralità è testimoniata dall’antichissima mensa ponderaria che è ubicata al suo fianco e che, come quella del mercato di Nicastro (ora al Museo Archeologico di Lamezia), risale al Medioevo.
Siete tutti invitati a partecipare: ringrazio anticipatamente quanti vinceranno le difficoltà climatiche e saranno presenti alla manifestazione.
Il prossimo 24 gennaio presso la Biblioteca Comunale di Lamezia Terme (Piazzetta T. Campanella) alle ore 16:30 si svolgerà la presentazione del volume «Giochi enigmistici» di Vittorio Butera a cura di Giuseppe Musolino. Sarà un’occasione per rivisitare il lavoro e la figura del Poeta conflentese e per parlare di enigmistica classica, una disciplina che ha avuto e ha anche in Calabria tanti seguaci.
Nel numero di novembre di “Penombra“, la più antica rivista di enigmistica italiana, a pagina 21 potete trovare la recensione del volume “Giochi enigmistici“. Un sentito ringraziamento al direttore Cesare Daniele per aver ospitato la mia pubblicazione.
Ricordo che Penombra è un mensile di enigmistica che si pubblica a Roma dal 1920, fondato da Cameo (CLICK per visualizzare alcuni numeri della rivista).
Un ringraziamento va anche a Giuseppe Riva (Pippo) di Sassuolo per aver segnalato la pubblicazione nel sito Enignet.
Il volume “Giochi enigmistici” di Vittorio Butera curato da Giuseppe Musolino è stato presentato in due manifestazioni svolte rispettivamente il 23 agosto 2022 presso la Sala consiliare del Comune di Conflenti (luogo di nascita di Vittorio Butera) e il 26 agosto nella Sala consiliare di Decollatura, luogo di residenza del curatore.
La prima manifestazione è stata organizzata dall’Associazione Confluentes insieme al Centro Studi Vittorio Butera e all’Amministrazione comunale. L’evento ha avuto inizio col saluto a nome dell’intera Amministrazione rivolto ai presenti dal Vice Sindaco Federico Gallo che ha ricordato il vecchio legame col prof. Musolino, suo professore di Matematica e fisica al Liceo di Decollatura. Gallo ha anche evidenziato l’interesse del Comune a continuare il lavoro di valorizzazione del Poeta Vittorio Butera, con iniziative che spera possano essere realizzate al più presto. Sono seguiti gli interventi della coordinatrice dell’incontro Laura Folino dell’Associazione Confluentes, che ha rivolto il suo saluto e ricordato che la recente riedizione del volume “Canti e Cunti” di Vittorio Butera, e di Giuliana Paola, già Preside dell’Istituto comprensivo di Conflenti e Presidente del Centro Studi Vittorio Butera.
È stata poi la volta di Battista Folino del Centro Studi “Vittorio Butera”, il quale, oltre a esporre le attività svolte dal Centro anche grazie al lavoro di Vittoria Butera, grande studiosa e animatrice dello stesso, ha letto due poesie di Vittorio Butera. L’idea è stata molto gradita dal pubblico perché ascoltare versi poetici nella propria lingua madre ha sempre un magico effetto.
Il successivo intervento di Giuseppe Musolino ha delineato il percorso che l’ha portato a curare la pubblicazione del manoscritto inedito dei giochi enigmistici di Vittorio Butera (Silano). Ha spiegato la scelta di separare le soluzioni dal testo dei giochi, auspicando, ha detto, che i lettori possano cogliere l’occasione per avvicinarsi all’enigmistica classica. Ha anche rivolto un sentito ringraziamento a Giuseppe Riva (Pippo) dell’Associazione Culturale Biblioteca Enigmistica italiana “G. Panini” di Campogalliano (MO) per i tanti preziosi consigli sulla nomenclatura dei giochi. Infine c’è stato l’intervento della prof.ssa Maria Luisa Rizzo del Centro Studi V.B.la quale si è soffermata sulla storia dei quaderni inediti evidenziando quanto esteso sia ancora il materiale da studiare e pubblicare, invitando anche i giovani presenti nel pubblico ad avvicinarsi a questi temi.
Il secondo evento ha avuto inizio col saluto del Sindaco Raffaella Perri e l’intervento della Consigliera con delega alla Cultura Valentina Boccalone. Le due rappresentanti dell’Amministrazione hanno evidenziato l’attenzione verso il settore culturale che dovrebbe sfociare a breve nella riapertura al pubblico della Biblioteca comunale di Decollatura.
È seguito l’intervento di Vittoria Butera, la studiosa più competente sul Poeta conflentese per i suoi lunghi e approfonditi studi. La prof.ssa Butera ha illustrato una relazione dal titolo «La matematica, il nucleo ispiratore dell’opera di Vittorio Butera» (LINK) nella quale – anche a seguito di quanto emerso dalla “scoperta” del Butera enigmista – ha evidenziato la portata della visione matematica del mondo capace, tanto quanto l’ispirazione umanistica, di essere portatrice di creatività, poesia e, in definitiva, di bellezza.
L’intervento del curatore Giuseppe Musolino ha ripercorso la genesi del suo coinvolgimento in questo lavoro editoriale e illustrato la struttura del volume. Ha ripreso poi la suggestione inedita appena esposta da Vittoria Butera, concordando pienamente con la necessità di introdurre nuove chiavi di lettura dell’opera di Butera. Musolino ha evidenziato come già in altri casi il pensiero genericamente inteso come “matematico” è stato individuato in grandi creativi, fra i quali, ha ricordato, c’è stato Johann Sebastian Bach. È seguita anche una breve parentesi enigmistica con finalità, per così dire, “divulgative”, in cui ha illustrato alcuni esempi dei giochi simili a quelli che avrebbero trovato nel volume, evitando quelli presenti nello stesso per non rovinare la sorpresa nei lettori. Sono stati molto graditi l’indovinello di Turandot «IL “CORRIERE DELLA SERA”. E’ un noto quotidian di gran formato.» o l’incastro di Maranello «L’ALLIEVA VUOL FREGARMI ALL’ESAME».
Infine, visto che il pubblico gradiva questa parentesi, Musolino ha aggiunto alcuni anagrammi, in particolare quelli ispirati all’onomanzia. Per giocare sui nomi ha ricordato sia alcuni noti esempi relativi a personaggi famosi, sia – per omaggiarle – riferiti alla signore presenti. Ha proposto Vittoria Butera = tributavate ori; Valentina Boccalone = niente la bloccava, no?; Raffaella Perri = le parli, afferra e anche Raffaella Perri = per far, fra leali. Non potevano mancare quelli relativi al Comune: Decollatura = dò altra luce e a sé stesso: Musolino = luminoso.
La prof.ssa Maria Luisa Rizzo ha concluso aggiungendo a quanto già esposto nell’incontro di Conflenti, che a giudicare dal contenuto (edito e inedito) dei quaderni di Vittorio Butera ove si trovano circa 700 poesie in dialetto e oltre 1600 in italiano, andrebbe superata la classificazione di poeta dialettale visto che la maggior parte della sua produzione è in lingua nazionale.
Da oggi è in distribuzione il mio nuovo volume “Giochi enigmistici”, un libro fresco di stampa e forse abbastanza sorprendente per il suo contenuto. Infatti pochi sanno che il poeta di Conflenti Vittorio Butera (1877-1955) con lo pseudonimo di SILANO, pubblicava su riviste nazionali giochi enigmistici di grande valore. I suoi componimenti, per la maggior parte inediti, erano conservati nel suo Quaderno n. 13, interamente trascritto.
Nel volume si trovano 187 giochi enigmistici (enigmi, indovinelli, sciarade, ecc.) con le soluzioni spiegate e commentate. Da evidenziare anche la presenza di una preziosa nota bio-bibliografica su Vittorio Butera scritta da Vittoria Butera, saggista e autrice di numerosi volumi, che sta curando con il Centro Studi Vittorio Butera di Conflenti l’edizione dei tanti manoscritti inediti che il Poeta Butera ci ha lasciato.
Le soluzioni sono presentate separatamente dai giochi in modo che i lettori possano provare da soli a risolvere i giochi, ricorrendo all’aiuto solo se lo desiderano.
Ringrazio, come ho già fatto nel volume, Giuseppe Riva (Pippo) dell’Associazione Culturale Biblioteca Enigmistica Italiana “Giuseppe Panini” di Campogalliano (Modena) per il fondamentale supporto fornito sugli aspetti tecnici dell’enigmistica classica e i tanti preziosi consigli.
Cari amici, il 4 agosto 2022 alle ore 16.30 in località Monaco presso la sala convegni del Centro visita “Antonio Garcea “ di Villaggio Mancuso (Taverna) presenterò il volume del prof. Franco Emilio Carlino “Storia di un Territorio. Il Reventonio-Savuto” edito da Pellegrini.
Il libro è una serie di quadri storici su 27 borghi del comprensorio Reventino/Savuto in cui l’Autore prende in esame l’origine, l’evoluzione, le caratteristiche ambientali di tutti i borghi, corredando il volume con le splendide fotografie di Mario Migliarese. Il prof. Carlino mi ha dato il grande onore di affidarmi la presentazione del volume, compito che spero di adempiere nel migliore dei modi. Vi aspettiamo numerosi.
AGGIORNAMENTO
Quelle che seguono sono alcune immagini (dal profilo FB di Franco Emilio Carlino) della manifestazione.
QUESTO E’ IL TESTO DEL MIO INTERVENTO
Inizierei con l’assegnare al volume STORIA DI UN TERRITORIO [IL REVENTINO-SAVUTO] una collocazione in un ambito tematico. Quelle possibili sarebbero Storia, Geografia, Antropologia e poi le loro commistioni come Geostoria e Geopolitica. L’Autore, già nelle prime parole dell’introduzione, dichiara un intento antropologico, citando ampiamente la dimensione unificatrice della lingua pressoché uguale nei paesi del territorio esaminato, quindi forse la collocazione più calzante sarebbe quella di un saggio storico-antropologico su un territorio.
Un aspetto piuttosto interessante è quello del territorio oggetto di indagine.
In effetti il binomio Reventino-Savuto per indicare una parte del territorio calabrese, è un’introduzione abbastanza recente e, se vogliamo, anche abbastanza inconsueta data la sua natura ibrida di toponimo montano-fluviale.
Credo che questa particolarità sia stata ereditata dalla denominazione di Comunità montana del Savuto, oggi soppressa come tutte le altre, che poi si è trasmessa al Progetto Aree interne che ha trovato riscontro in percorsi politico-amministrativi come il progetto di Valorizzazione delle Aree interne (2015). In questo progetto sono stati coinvolti 14 comuni: Bianchi, Carpanzano, Colosimi, Panettieri, Parenti, Pedivigliano, Scigliano (in provincia di Cosenza); Carlopoli, Cicala, Conflenti, Decollatura, Motta Santa Lucia, Serrastretta, Soveria Mannelli (in provincia di Catanzaro). Anche altri progetti di collaborazione tra istituzioni scolastiche, fino a ipotizzare anche qualche fusione, aveva avuto questa denominazione.
Non so se siano state queste sollecitazioni a far porre l’attenzione di Franco Emilio Carlino su questo territorio. Forse hanno avuto un ruolo, ma marginale, mentre credo invece che sia stata la scoperta del fattore antropologico ad avergli fatto da stimolo. Lo dice egli stesso nell’introduzione quando racconta di essere stato colpito dalla “scoperta” condivisa dagli amici Migliarese e Talarico della comune origine sciglianese dei loro comuni di origine, vale a dire Mandatoriccio e Petronà.
Questa è forse la chiave di lettura più corretta sull’origine di questo lavoro. Gruppi di persone che si sono incontrate per discutere di poeti e poesie, di dialetto, di valorizzazione della cultura materiale e immateriale, hanno portato alla nascita di gruppi facebook di appassionati di genealogia, di tradizioni, di dialetto, insomma di tutto ciò che Franco ha messo in questo suo libro. Per chi conosce abbastanza bene i dialetti e le parlate dei vari paesi, è abbastanza agevole riconoscere origini e collegamenti tra paesi altrimenti insospettabili. Quando parlo al telefono con Franco, mi sembra proprio di parlare con uno sciglianese doc; quando parlo con uno di Petronà capisco che le nostre parlate sono simili a dispetto della distanza che ci separa.
La lingua, dunque, e le tradizioni sono il legame che ci uniscono. Seguendone le analogie e le differenze si scoprono storie comuni dimenticate. Dico dimenticate perché uno dei vizi dei calabresi è quello di dimenticare. Nel corso delle mie ricerche sulla storia di Decollatura – in particolare riguardo al periodo dell’occupazione francese del 1806 – ho trovato uno scritto di un autore francese il quale, avendo visitato i luoghi della Calabria in cui si erano svolti gli episodi più significativi di rivolta contro l’occupazione, si è molto meravigliato della totale assenza di lapidi e monumenti a memoria di quei fatti. Lo stesso potremmo dire dell’assenza della memoria sui fatti del Risorgimento o, ancora, sul contributo dei partigiani calabresi alla Lotta di Liberazione, completamente dimenticati da tutti, ma il discorso ci porterebbe molto lontano. È questa assenza di memoria che rende difficile la ricostruzione di fatti neanche troppo lontani e ci condanna a percepire le nostre comunità a un livello inferiore a quello che invece meriterebbero.
Veniamo adesso a un’analisi della struttura del lavoro di Franco Carlino. Il libro è articolato in quelli che potremmo definire 27 quadri storici, ciascuno dei quali è focalizzato su un comune o, in alcuni casi, su un’entità trasversale che prescinde dalle divisioni territoriali. Come per i quadri, c’è un titolo che ne esplicita la chiave di lettura da parte dell’Autore. Per esempio cito:
Decollatura. un’incantevole realtà calabrese della Sila posta alle pendici del monte Reventino
Dalla vetusta ‘Porchia’ alla moderna Motta Santa Lucia
Scigliano. Dall’antica ‘Sturni’ a città regia
ma anche
L’abbazia di Corazzo e il carisma dell’abate Gioacchino
e così via.
Il modello dell’esposizione cui sembra ispirarsi l’Autore, è quello dei grandi libri di divulgazione geografica editi dal Seicento all’Ottocento, dai quali trae e cita molto materiale. Questo è un punto molto importante da evidenziare. La struttura di quelle opere, così come quella del Nostro, non è quella tipica di un libro di viaggi con indicazioni di percorrenze e di luoghi dove mangiare o dormire, sperimentati e consigliati. Franco non ha in mente questo schema. Egli ha attinto a una bibliografia e sitografia molto articolate lasciando ai rispettivi autori, sempre rigorosamente indicati, la responsabilità della corrispondenza dei dati alla realtà.
Ad esempio quando dice che a Sersale
In una località detta Grippa, zampilla una sorgente d’acqua minerale: è questa sulfureo ferruginosa; ha la temperatura dell’aria ambiente, e si prende in bevanda. Viene consigliata nei casi di dispepsia e di gastralgia.
le proprietà curative di quell’acqua sono sostenute da Amato Amati nel suo Dizionario Corografico del 1868, a nulla valendo quindi le rimostranze per mancata efficacia nei confronti di Carlino.
Il fatto di trattarsi di un’opera basata essenzialmente sulle fonti ha due implicazioni.
La prima è che non si può pensare di utilizzarne i contenuti come prova dirimente su questa o quella faccenda dibattuta degli storici locali. Non è questo che ha inteso fare il prof. Carlino. Il suo scopo è stato quello di mettere insieme e presentare le diverse realtà così come le hanno collocate le opere precedenti.
La seconda è legata alla prima. Se le risultanze del meticoloso lavoro di sintesi fatto da Carlino sulle fonti lasciano scontento qualcuno, vuol dire che è costui che deve ancora lavorare per far emergere la sua versione dei fatti. Dovrebbe invece, costui, ringraziarlo per aver svolto il ruolo di cartina al tornasole, di saggiatore: se qualcosa non li convince, bisogna che LORO si mettano al lavoro!
Il volume è invece utile, per non dire indispensabile, per trovare raccolte insieme le “biografie” essenziali di tanti luoghi che altrimenti sarebbe assai difficoltoso, lungo e dispendioso (di tempo e denaro) acquisire direttamente attraverso specifiche ricerche.
Allo stesso tempo, pur non essendo, come già detto, un libro di viaggi, il suo contenuto può essere vantaggiosamente utilizzato per una “rapida” preparazione culturale alla visita dei vari luoghi, rinviando a un secondo momento gli approfondimenti e la scelta delle strutture per una ristoratrice pausa gastronomica.
Naturalmente Carlino dà la sua chiave di lettura dei territori. Proprio perché si tratta di “quadri”, ha dovuto per forza scegliere cosa far entrare nella scena e cosa tenere fuori, cosa scegliere come titolo del quadro stesso e cosa escludere. Ma questo è proprio ciò che distingue un autore da un altro, è ciò che ce ne fa apprezzare lo stile ed eventualmente decidere di seguirlo nelle sue successive fatiche.
Torniamo alla struttura del volume. È molto bella l’idea di datare ognuno di quelli che ho chiamato “quadri” con il luogo e la data di esecuzione. L’ordine dell’inserimento dei capitoli nel volume segue proprio la date scrittura, tranne un paio di casi, forse per ragioni di impaginazione. Il primo è datato 24 giugno 2018 a Rossano, proprio mentre si preparava la Festa della mietitura del grano di quell’anno, coincidenza forse non casuale, ma le date vanno dal 16 giugno al 7 ottobre del 2018.
L’organizzazione del testo per ogni scheda segue uno schema abbastanza regolare e sistematico. Si inizia con i riferimenti alle origini dei luoghi, o meglio, alle prime tracce che se ne trovano nelle opere degli autori più rappresentativi, sempre puntualmente indicati. Vengono fornite indicazioni sul numero degli abitanti e sul loro appellativo, sull’estensione del territorio, ecc.
Si prosegue con la descrizione della struttura e l’articolazione dei nuclei abitati che compongono il comune, sui principali edifici religiosi e civili, sulle risorse economiche, sulle vicende amministrative che ne hanno determinato l‘assetto. Ne sortisce un mix molto equilibrato e gradevole tra il linguaggio classico dei brani degli antichi autori, cucito e raccordato con le parole dell’Autore stesso in maniera mirabile.
Per avviarmi alla conclusione, voglio parlare adesso di qualcosa di cui raramente si parla in occasione delle presentazioni di libri. Invece qui voglio proprio soffermarmi sulle qualità della scrittura e del libro come prodotto editoriale.
Ho molto apprezzato lo stile narrativo di Franco Carlino. Mi piace il suo uso delle frasi piuttosto brevi, l’efficace uso delle incisive, la precisione nell’uso del corsivo, i link a pagine internet sempre funzionanti. Oltre a ciò è doveroso sottolineare la poderosa sezione bibliografica che si sviluppa sia nei puntuali riferimenti nelle note a piè di pagina sia nelle pagine finali dove il lettore può trovare le indicazioni per eventuali approfondimenti. La sitografia contiene i link alle pagine internet consultate dall’Autore, ormai a tutti gli effetti da considerare un ‘estensione obbligatoria della bibliografia.
Tre sono gli indici inclusi da Carlino nel suo lavoro.
Il primo è l’Indice dei nomi. Non è un semplice elenco di nomi con l’elenco dei numeri delle pagine in cui si possono trovare, ma un vero e proprio indice ragionato, con la specificazione che segue il nome e che suggerisce al lettore se quelle pagine sono effettivamente di suo interesse. Fra queste parole chiave troviamo antica popolazione, papa, poeta, successore ai Sanseverino nella gestione feudale, nome di famiglia, casato, cognome, ecc. ma anche “Dio, essere supremo”.
Il secondo è INDICE DEI LUOGHI, ARCHIVI, CHIESE, PALAZZI, MONUMENTI, ISTITUZIONI, ETC CON ALCUNE VOCI ORDINATE ANCHE PER CATEGORIA. Qui si trovano raggruppati i toponimi, i nomi dei villaggi, dei corsi d’acqua, dei monti, ecc.
Il terzo è l’ INDICE DELLE COSE NOTABILI PER ALCUNE VOCI STRUTTURATO ANCHE PER CATEGORIA. Si tratta di qualcosa di intermedio tra un glossario e una mini-enciclopedia dove il lettore che non è molto pratico dei termini usati nei libri di storia, può trovare un aiuto per comprendere appieno il significato di quello che legge.
Può capire, per esempio che Portulania o portolania significa ufficio e funzioni del portulano nelle province napoletane, riscossione del dazio
oppure Decurionato, gruppo di persone preposte all’amministrazione del comune.
Infine voglio parlare del materiale fotografico. Le immagini in un volume di queste dimensioni, creano spesso dei problemi agli autori e agli editori. Se, per contenere le dimensioni del volume e, di conseguenza i costi, si utilizzano foto con piccolo formato, diventano praticamente inutili e persino fastidiose. Questo per non parlare della difficile convivenza fra testo e immagini con allineamenti di fantasia, dovuti alla capricciosità del programma Word con cui quasi sempre lavorano gli autori.
D’altra parte, l’utilizzo del formato a pagina intera, avrebbe aumentato le dimensioni del volume e reso difficile la lettura di un saggio come questo in cui sono presenti citazioni, riferimenti, date che non è agevole distribuire in più pagine. Carlino ha trovato il giusto equilibrio, probabilmente anche grazie alla sapiente regia di una grande casa editrice come Pellegrini che sa come regolarsi in questi casi.
Abbiamo molte immagini a pagina intera, spesso anche nella posizione più prestigiosa di destra, ma anche tante a tre quarti di pagina dove contribuiscono moltissimo a rendere l’atmosfera dei luoghi di cui si parla.
E veniamo alla qualità delle immagini che si devono a Mario Migliarese, la persona che insieme a Francesco Talarico, come già detto, lo hanno stimolato a intraprendere il cammino che è sfociato nella pubblicazione che oggi presentiamo.
Mario è una persona che ho conosciuto qualche anno fa in occasione di eventi riguardanti la poesia di Michele Pane e che poi ho ritrovato in altre situazioni che toccano trasversalmente i nostri territori. È una vera forza della natura, instancabile animatore di tutte le possibili attività culturali. Scrive, canta, recita, compone musica e canzoni, organizza escursioni ma non sapevo che fosse un fotografo così ispirato. Dirò di più. Nella sua nota sulla fotografia presente nel libro, parla di tante cose ma non della sua vena di fotografo, forse perché ritenuta capace di spiegarsi da sola in quanto assorbita dal suo amore per le cose che riprende. E invece osservando quelle foto mi colpisce la sua capacità di creare immagini senza tempo, anzi col tempo sospeso. Non ci sono persone, tranne in un caso in cui non deve essere riuscito a evitarlo. Non ci sono persone, animali o cose, non ci sono automobili (tranne un caso, ma moto distanti), non si percepisce la presenza invasiva di parabole, fili elettrici, motocarri degli ambulanti e così via.
Si comprende a stento – per esempio osservando la presenza di alcuni elementi di arredo urbano – che non si tratta di foto antiche ma è quasi come se, attraverso la pulizia compositiva della foto e la scelta attenta dell’inquadratura, fossero in grado di risucchiasse verso il passato anche gli elementi attuali, producendo paesaggi senza tempo.
Migliarese non ricorre alla grottesca presenza di barili, pacchiane, pecorai con le cioce o, peggio ancora, dei briganti col cappello alla calabrese e il fucile a trombone, l’arrotino, le tovaglie a scacchi, tutte cose che dovremmo tutti respingere non riconoscendoci nel calabrese pittoresco e forse un po’ anche mezzo brigante che troppo spesso ci autocondanniamo a rappresentare.
In conclusione, un ringraziamento a Franco Emilio Carlino, per un’opera così interessante e utile per farci conoscere meglio l’uno con l’altro e riunire quello che i terremoti, il bisogno, l’economia e la voglia di scoprire nuovi orizzonti, ha separato.
È stata pubblicata ieri 30 marzo la soluzione del problema I giardini di marzo. Ogni mese la prestigiosa rivista scientifica Le Scienze presenta un problema invitando i lettori a inviare le soluzioni che saranno pubblicate nel numero successivo e anche sul blog curato dai cosiddetti Rudi Matematici, i tre auotori che rispondono ai nomi di Rudy d’Alembert, Alice Riddle e Piotr Rezierovic Silverbrahms.
Il quesito del mese di marzo 2022 è centrato sulla geometria dei triangoli e può essere così riassunto:
All’interno di un triangolo, si sceglie un punto P arbitrario. Da questo si tracciano le perpendicolari ai tre lati del triangolo. I piedi delle perpendicolari individuano tre punti sui lati definendo un altro triangolo, dal quale si ripete la stessa costruzione dal punto P. Ci si ferma quando si ottiene un triangolo simile all’originale. Dimostrare che questo è sempre possibile.
La soluzione che ho inviato è stata pubblicata come potete leggere andando alla pagina dei Rudi Matematici (LINK).
Sono diversi anni che le mie soluzioni sono pubblicate da Le Scienze e, diciamolo, riscuotono sempre un certo apprezzamento come potrete verificare visitando alcune delle pagine d’archivio a QUESTO LINK. Non compaiono tutte le mie soluzioni perchè, come in questo numero, i solutori vengono indicati col nome senza cognome (da tempo sono indicato solo come Giuseppe).
La soluzione completa potete leggerla in QUESTO pdf oppure direttamente dal sito di Le Scienze in cui è presente (l’unico caso!) il link con lo stesso file.
Perchè invio le soluzioni, esponendomi al rischio di qualche clamoroso “infortunio” che poi magari sarebbe pubblicato? Perchè la passione per la scienza e la matematica non cessano con la vita lavorativa ma continuano per sempre, almeno fino a quando si prova emozione nel misurarsi con le cose vere, quelle in cui non si decreta se si ha ragione per alzata di mano!
Chi segue i miei post sa che qualche settimana fa ho pubblicato una pagina che ho chiamato «Bibliotecaonline» allo scopo di riunire in una biblioteca virtuale tutte le opere scritte da autori di Decollatura (libri e articoli di approfondimento) o aventi come argomento Decollatura. Ebbene, una delle scoperte — se così si può dire — più interessanti, oltre al sorprendentemente grande numero di “pezzi” fin qui censiti, è la ricorrente presenza del nome della nostra bellissima, celebrata e invidiata Montagna del Reventino nelle pubblicazioni.
La prima, in ordine di tempo, che ha avuto questo nome è stata la rivista settimanale fondata dall’avvocato Rosalbino Cerra (Decollatura 1863-1950) riportante la testata Il Reventino.
Il primo numero, qui sopra riprodotto, uscì il 16 marzo 1904 sebbene il debutto (come si può leggere nell’apertura) fosse previsto per il primo giorno del mese. I caratteri scelti per la testata hanno un vago sapore western ma dopo l’uscita di diversi numeri furono cambiati.
L’avvocato Rosalbino Cerra aveva iniziato molto presto la sua carriera di giornalista, quando ancora era studente liceale a Napoli. Qui nel 1888 entrò nella schiera dei giornalisti assumendo la direzione di «Parva favilla», periodico scientifico-letterario-artistico stampato nella tipografia di Michele Gambella. Dopo la laurea il legge a pieni voti presso l’Università di Messina e il rientro a Decollatura, la passione per la cultura e la politica lo spinsero a fondare un nuovo periodico al quale diede il nome dell’elemento caratterizzante la vita e la storia di Decollatura.
Il Reventino aveva un chiaro respiro comprensoriale, regionale se vogliamo, come si deduce dai corrispondenti da molti paesi calabresi ma anche da Napoli da dove giungevano le cronache degli spettacoli tenuti nei principali teatri cittadini. Poi c’erano l’angolo della poesia, la rubrica di grafologia, la corrispondenze sui fatti di cronaca, la piccola posta dei lettori, l’enigmistica, e c’era anche la pubblicità, vera chicca di cui qui di seguito pubblico un esempio.
Una delle pagine più belle e in sintonia col titolo della testata e delle leggende che da sempre a Decollatura circolano sulla relazione tra le fate e il Monte Reventino, è apparsa nel n. 5 del 9 maggio 1904. Quello che pubblico qui di seguito è l’incipit dell’articolo ma credo che presto lo pubblicherò integralmente perchè so di molte persone interessate a questa leggenda e così potremo leggerne una versione molto autorevole, non solo per la fonte ma anche per i 117 anni che porta sulle spalle.
«Il Reventino» fu pubblicato ininterrottamente fino all’avvento del fascismo, ma l’ultimo numero che ho potuto visionare direttamente è del 1910. Torniamo ora al tema di questo post. Dopo la sospensione delle pubblicazioni del settimanale Il Reventino avvenuta negli anni Venti, per un po’ (salvo scoperte ancora da fare) il Monte scomparve dalle testate delle pubblicazioni, facendovi ritorno però nel 1971. In quell’anno, a settembre, a Decollatura fu pubblicato un numero unico ciclostilato dal titolo Il Reventino ad opera di un gruppo di giovani intellettuali decollaturesi (a questo LINK maggiori dettagli).
La Presentazione fu affidata a Mario Gallo — futuro saggista storico, docente e dirigente scolastico — il quale rivendicava nel testo il legame di continuità con l’antica pubblicazione, come si può leggere in questo breve estratto:
Il nome del Monte Reventino non ha cessato di ispirare gli autori, come vediamo in quest’altra pubblicazione del 2017 del compianto Nicola Esposito. L’Autore già in precedenza aveva pubblicato altri articoli, in particolare uno dal titolo “Storia di un’iniziativa” sul numero unico «La Tribuna del Reventino», fascicolo del 1970 o 1971 che non sono riuscito a reperire, ma che cito a riprova dell’ininterrotto connubio tra scrittori decollaturesi e la grande montagna. E se proprio vogliamo approfondire, in quell’articolo Esposito parlava dell’iniziativa della nascita del più grande, per non dire unico, esperimento di cooperazione tra produttori agricoli del comprensorio, che doveva sfociare nella nascita di una cooperativa per la produzione e commercializzazione delle patate a cui fatalmente fu dato il nome di Cooperativa Reventinia.
Ma non finisce qui perchè Reventino ha avuto in Decollatura altri numerosi utilizzi nei nomi di imprese ed enti: la gloriosa Tipografia Grafica Reventino, il Moto Club Reventino, Radio Reventino 101 fondata da Mario Perri nel 1976 e oggi sul web, l’officina Autoreventina, il Bar Reventino, l’UCCP del Reventino, il CSM del Reventino, l’Associazione NERS (Nucleo emergenze Reventino-Savuto), l’Associazione Discovering Reventino, l’ANPI Reventino, il sindacato SPI CGIL – Lega del Reventino, il Gruppo Quad Falchi del Reventino, il Comitato agricoltori Reventino, per non parlare di tutti i gruppi Facebook che hanno Reventino nel loro nome e dei quali non è evidente altro riferimento territoriale.
Che cosa sta accadendo? Perché questo toponimo così poco studiato (non dovrei dirlo io ma l’unico studio etimologico attualmente esistente è quello che ho pubblicato nel saggio Decollatura. Volume I) ha avuto un’impennata così vistosa — specialmente negli ultimissimi anni — fagocitando, assorbendo e facendoli scomparire tutti i riferimenti territoriali che appaiono ormai come non politicamente corretti?
La retorica del “fare rete“, “uniti si ottiene“, “la forza sta nell’insieme” e altre amenità del genere, non mi convince. Chiunque analizzi con un po’ di profondità il fenomeno, si rende conto che la “contesa del toponimo“, la strategia di impossessarsi (emotivamente, si intende) di un nome, di un concetto, di un prodotto enogastronomico di eccellenza, in definitiva di una fetta o forse anche di un’intera secolare cultura, è in pieno svolgimento e molti sono quelli che si “consegnano spontaneamente” senza opporre resistenza. Di solito, in lingua italiana, la sineddocheprevede l’uso di una parte per il tutto. Qui sta accadendo il fenomeno opposto: si usa “il tutto“, cioè “Reventino“, al posto della parte. Ma già, qual è questa parte? Per capirlo bisogna usare la vecchia tecnica del «cui prodest?» vale a dire “a chi giova?“. Se ancora non ne veniamo a capo, guardiamo chi danneggia. Non solo il glorioso nome della nostra identità in uso documentato da mille anni non viene più utilizzato da nessun soggetto pubblico o privato nella propria ragione sociale, ma anche l’umile venditore che potevamo incontrare fino a qualche anno fa lungo le strade del lametino per qualificare come di prima qualità il sacchetto di tuberi da 3 kg che proponeva ai clienti, ha definitivamente sostituito la provenienza “di Decollatura” con quello di “silane“. A un amico che mi faceva notare come, secondo lui, quel prodotto non fosse effettivamente di Decollatura, io risposi che probabilmente, anzi sicuramente, aveva ragione ma proprio quella era la nostra forza: finché di un prodotto esiste il falso, l’originale mantiene ancora alto il suo valore.
Concludo parafrasando la mitica scritta che compariva su un muro vicino al vecchio campo sportivo vicino Piazza della Vittoria dico «Riviva la Decollatura dei vostri Padri» e con essa la patata di Decollatura, la soppressata di Decollatura, il fagiolo Monachella di Decollatura, le Fiere di Decollatura, i poeti di Decollatura, i boschi di Decollatura, la lingua di Decollatura, le associazioni di Decollatura, i patrioti di Decollatura, gli alberi monumentali di Decollatura, la Ferrovia di Decollatura, gli svincoli stradali di Decollatura e tanto altro che evito di aggiungere.
Sì alle collaborazioni amicali, porte aperte e pieno sostegno anche nel promuovere e valorizzare le identità altre, ma fare come quel (quasi) volatile che aiuta ad accumulare legna per il forno in vista del Thanksgiving Day, quello — vi prego — proprio no!
con grande soddisfazione vi annuncio che questa mattina ho ritirato dalla tipografia le copie fresche di stampa del mio nuovo volume Decollatura. Volume II.
Si conclude così la lunga ricerca che ha visto la pubblicazione del primo volume nel 2017 e a distanza di quattro anni questo secondo corposo testo di 600 pagine che spero sia gradito da tutti gli appassionati di storia.
A breve il volume sarà presentato al pubblico e inizierà la distribuzione.
Ho letto qualche giorno fa un post su Fecebook in cui si annunciava l’entrata in esercizio del nuovo impianto di riscaldamento nella Scuola Media di Decollatura. La notizia è certamente da accogliere positivamente perchè «cosa fatta capo ha», ma siccome, in un modo o nell’altro, si è colta l’occasione per esprimere un plauso all’«ex amministrazione» che ha precisamente voluto questo tipo di intervento, mi corre l’obbligo, come «ex minoranza», intervenire per chiarire alcuni aspetti della vicenda ed esprimere la nostra opinione.
Quando si era appreso che con il D.L. 30 aprile 2019 n. 34 il governo metteva a disposizione dei comuni dei fondi per l’adozione di misure per l’efficientamento energetico, ricordo nel corso di una seduta consiliare di aver rivolto una domanda a un consigliere di maggioranza se non fosse il caso di attivare un confronto tra maggioranza e minoranza per individuare il tipo di intervento portatore di maggiori vantaggi per i cittadini. L’idea del mio Gruppo di Più Decollatura era quella di puntare a un intervento basato su un impianto fotovoltaico per alimentare le pompe del depuratore comunale. Il consigliere di maggioranza di cui sopra chiuse il discorso dicendomi che la scelta era stata già fatta. L’intervento della Scuola Media, disse, era un’opportunità migliore perchè consentiva di abbinare un altro bonus, quello del Conto termico 2.0, con quello dell’efficientamento energetico giungendo così a raddoppiare l’importo fianziabile, fino a 110mila euro. Giustissimo, ottimo ragionamento se non fosse che un’amministrazione comunale non deve solo ragionare come fa uno studio tecnico che suggerisce le migliori strategie per scalare la graduatoria dei finanziamenti, a prescindere se poi la “cosa” finanziata” produca un “utile” per la collettività. Qui non si tratta di classificarsi come miglior ideatore di progetti finanziati, o come “procacciatori” del massimo contributo, ma di realizzare progetti con la migliore ricaduta sui contribuenti in termini di risparmio sulle tariffe e/o comunque del miglioramento dei servizi, anche a parità di spesa. Da sottolineare che noi da tempo avevamo attenzionato l’impianto fotovoltaico della Scuola Media come si può leggere in questo post di due anni fa (LINK) di cui qui inserisco un estratto:
Poiché alle nostre richieste verbali di informazioni sullo stato dell’impianto non c’era stata alcuna risposta, ho successivamente presentato una istanza scritta per ottenere i documenti che permettessero di ragionare con i numeri:
L’attesa dei documenti si rivelò vana perché non solo non sono stati mai rilasciati ma non abbiamo avuto nemmeno la risposta negativa sul punto 2 che svelasse l’amara verità che sospettavamo e cioè che il Comune dall’Enel non riceveva nessun rimborso perché la pratica non era stata completata. Il bellissimo indicatore posto sulla vetrata della Scuola Media che indicava la produzione di energia e che per anni abbiamo ritenuto portasse introiti era solo un bluff. Era evidente che la nostra richiesta non intendeva stigmatizzare inadempienze dell’amministrazione del 2018 perché nessun ruolo aveva svolto in quell’impianto, ma serviva per fare chiarezza sul suo stato e avviare una discussione per trovare una soluzione per metterlo in produzione. Tutto questo avveniva prima dell’esistenza del finanziamento dei 50mila euro per l′efficientamento energetico, tanto è vero che noi pensavamo alla messa in esercizio dell’impianto della Scuola Media per scambiare in POSTO DIVERSO l’energia prodotta utilizzandola per il depuratore, mantenendo il riscaldamento a termosifoni e gas per la scuola. Con l’opportunità offerta dal D.L. 34, le cose sono cambiate, per cui si poteva optare per un impianto fotovoltaico completamente nuovo per alimentare il depuratore e convertire quello esistente nella Scuola Media a servizio della stessa scuola o a scambio con il Municipio.
Quello che segue è uno schema in cui si mettono a confronto le due opzioni per come deve vederle un amministratore della cosa pubblica. Gli elementi scelti non attengono (solo) alla sfera tecnica ma alla necessità di assicurare in qualsiasi condizione meteorologica un servizio primario come quello del riscaldamento dell’edificio scolastico e, soprattutto, pensare alla sua agevole gestione da parte di un Ente con poco personale e senza dipendenti con qualifiche tecniche adeguate. Confrontiamo le due opzioni:
Riscaldamento per la Scuola Media:
Funziona gratis solo nelle giornate soleggiate, nelle altre deve attingere obbligatoriamente alla rete Enel
Il risparmio partirebbe comunque solo a lezioni già iniziate
Fornisce il massimo di energia nei mesi di aprile-maggio-giugno-luglio-agosto-settembre quando le scuole sono chiuse oppure non necessitano di riscaldamento
Nel comune di Decollatura, zona climatica E, l’uso del riscaldamento è ammesso solo dal 15 ottobre al 15 aprile, cioè proprio il periodo in cui c’è il minimo di produzione di energia solare
Durante il periodo di chiusura delle scuole, di divieto di accensione del riscaldamento, durante le domeniche, vacanze di Natale e Pasqua, i ponti (non voglio nemmeno pensare al ripetersi del ricorso alla DAD), la potenzialità energetica del fotovoltaico andrà pressoché sprecata
Da valutare la problematica della rumorosità degli impianti di ventilazione nonchè il controllo dell’umidità, del sollevamento e della circolazione delle poveri e allergie, ecc. sui quali, pur in presenza degli appositi filtri, non mi voglio esprimere ma so che sarà un aspetto di un certo rilievo
Risparmio “stimato”: 11.000 euro/anno; questo è forse l’elemento che lascia più perplessi. Per la sua valutazione si è fatto il conto del costo attuale (tra gas, illuminazione, manutenzione) e quello futuro ponendo uguale a ZERO quest’ultimo (niente manutenzione, niente guasti, nessun acquisto di corrente, ecc.). Poichè in futuro ci si riscalderà con 0 euro, dico ZERO, si afferma che sparirà ogni spesa e si risparmierà l’intera cifra spesa attualmente.
Impianto fotovoltaico per alimentare il depuratore
Necessità di alimentare le pompe tutto l’anno, 12 mesi su 12, 7 giorni su 7 con benefici certi per ogni ora in cui splende il sole
Maggiore produzione nei mesi primaverili/estivi, proprio in concomitanza del periodo in cui per l’aumentato numero di abitanti (utilizzo delle seconde case, maggior flusso turistico, rientro degli emigrati) aumenta il volume delle acque da trattare
Maggiore semplicità dell’impianto e quindi probabile minore obsolescenza dello stesso, con possibilità quindi di destinare quote rilevanti del finanziamento al sistema di accumulo (se fattibile) da utilizzare nei giorni senza sole.
Possibilità di aggiungere all’impianto fotovoltaico altre innovazioni in grado di rendere ancora più efficiente l’ossidazione dei reflui come hanno fatto tutti i comuni vicini e non
Ricaduta immediata del risparmio sulla bolletta degli utenti, compresi gli utili eventualmente derivati dalla vendita del surplus di corrente (se fattibile) con cui si potrebbero coprire le ulteriori spese del servizio depurazione;
Risparmio stimato: almeno 30.000/50.000 euro/anno ma forse anche di più. Purtroppo, come ricordato sopra, non ci sono state esibite le bollette Enel per fare un confronto esatto, ma ritengo ammontino a circa 60.000/80.000 euro/anno.
L’obiezione, che mi pare già di sentire, è che con il sistema dello scambio SUL POSTO di energia con il GSE la corrente non utilizzata sarà venduta e quindi produrrà un guadagno. Bella idea! Mentre la domenica vendiamo l’energia prodotta nella Scuola Media al GSE (sempre che l’impianto sia stato spento e non stia ugualmente consumando …) , al depuratore la compriamo a prezzo salato. Tutti sanno che il miglior modo per trarre beneficio dal fotovoltaico è quello di consumare la corrente prodotta e non di venderla per riacquistarla. Alla fine dell’anno, il bilancio tra l’acquisto dell’energia per far funzionare il riscaldamento e la vendita concentrata nella stagione estiva non credo possa essere molto favorevole, se non addirittura sfavorevole. Comunque, con questo schema, credo che chiunque possa farsi un’idea dei pro e dei contro di ciascuna delle due opzioni. Questa è l’analisi che io avevo in mente di affrontare insieme alla maggioranza di allora per arrivare a capire quale fosse la scelta migliore.
A me piace il confronto, per cui sarei stato contento di sentire le ragioni di questa scelta e, magari, convincermi della sua bontà. Perché no? Purtroppo così non è stato. Per il resto mi auguro davvero che l’impianto installato funzioni bene per la comunità scolastica e ne sortisca un risparmio per le casse comunali. Naturalmente, anche come privato cittadino, chiederò fra un anno gli stessi documenti che ho chiesto nel 2019, aggiungendovi anche quelli delle spese di manutenzione per vedere come sono andate le cose.
Alla fine, con l’esperienza amministrativa conclusa da qualche mese, questi discorsi servono a poco se non a fare memoria e ricordare come sono andate le cose. In futuro però spero che si scelga il dialogo e il confronto tra le varie componenti del nuovo Consiglio, perché tutti devono essere ascoltati e nessuno si deve lasciare prendere troppo la mano, allora dal “comandare” e ora che siamo in un momento di “riflessione”, dal promulgare giudizi grevi su questo o quell’altro ipotetico candidato, confermando un pessimo stile che ci eravamo illusi fosse stato messo da parte.
P.S. Questo intervento non mette in discussione la bontà tecnica del progetto (di cui non conosco i dettagli) né la qualità dell’esecuzione che non ho motivo di ritenere essere stati meno che eccellenti, anche perché progettisti e installatori avrebbero certamente utilizzato la stessa professionalità nell’altro progetto per cui, ripeto, nulla quaestio su questo fronte.
P.P.S. Spero non risponda al vero l’altra idea di cui ho avuto sentore e cioè che l’impianto dei termosifoni attuale sarà completamente abolito e la caldaia sarà staccata per essere utilizzata in un altro edificio scolastico. Andrà così a male il glorioso impianto di riscaldamento che ha resistito per 55 anni, funzionando ininterrottamente dall’a.s.1966/67 quando, a edificio appena ultimato, vi entrai come studente dalla Prima media. Non solo, ma così facendo sarà impossibile utilizzare un sistema di riscaldamento di emergenza alternativo in caso di guasto al sistema principale.
La giornalista Annarosa Macrì, dalle colonne della sua rubrica “Lettere e interventi” su «il Quotidiano del Sud» di ieri 15 dicembre 2020, ha risposto a una mia lettera che le avevo scritto il 28 ottobre sull’etimologia del nome Decollatura, tra l’altro commentandola con belle parole.
Tutto era nato con un’altra lettera del 1 ottobre, questa volta scritta dall’amico Filippo Cardamone che coltiva una grande passione per Decollatura e la sua storia, il quale confidava alla giornalista la scarsa attenzione dimostrata dai professori di storia dell’Unical — che frequenta come studente-lavoratore — ai suoi quesiti sulle ipotetiche battaglie cui avrebbero partecipato Pirro o forse l’imperatore Ottone. In particolare, Filippo lamentava la non conoscenza di Decollatura tout court da parte del suo docente che, come è nell’immaginario di ogni discente, dovrebbe essere in grado di dare una risposta definitiva a tutte le curiosità dei propri allievi. Rispondeva Macrì che non è possibile conoscere tutto della storia della Calabria e, figuriamoci, del mondo, ma che la questione da lui sollevata avrebbe potuto trovare risposta attraverso la consultazione di qualche buon manuale di storia mentre, avvisa, è meglio lasciar pronunciare su queste cose gli specialisti e non improvvisarsi storici “da bar”.
Passa qualche giorno e ad Annarosa Macrì giunge la lettera del prof. Antonio Zumbo, docente di Storia Romana all’Unical, che si riconosce nel professore di cui si parla e argomenta, un po’ piccato, una risposta che ha destato la mia attenzione. Dunque, afferma il prof. Zumbo, la prima cosa di cui occorre dotarsi è il metodo storico che consente di navigare correttamente tra i testi che hanno affrontato le questioni di nostro interesse. Se lo studente lo avesse fatto, sembra dire Zumbo, non sarebbe incorso nella cattiva interpretazione delle parole dello storico Barrio il quale nel 1571 sembra suggerire (ma è una sua idea) che la battaglia tra Pirro e Mamertini di cui parlano gli antichi Strabone e Plutarco si sarebbe svolta a Decollatura. Si sarebbe dovuta tenere separata la verità del passaggio di Pirro dalla Calabria (lo dice Plutarco) da una battaglia svoltasi a Decollatura (lo ipotizza Barrio). La conclusione per Zumbo è ovvia: non c’è stata nessuno scontro di Pirro con i Mamertini e meno che mai si è svolta a Decollatura, quindi l’etimologia del nome non può in alcun modo poggiare su battaglia sfociata in una serie di numerose decapitazioni (dal sost. latino decollatio = decapitazione).
«La città di Decollatura non ha bisogno di fantomatiche battaglie combattute sul suo territorio per nobilitare la sua origine e le sue bellezze paesaggistiche», conclude il prof. Zumbo, chiudendo la questione. Leggendo le due lettere non potevo rinuciare a intervenire per dire la mia visto che all’etimologia di Decollatura ho dedicato molte pagine del mio saggio Decollatura. Volume I del 2017. Non solo non sarebbe stato educato nei confronti della giornalista che ha pubblicato due lettere sull’argomento, ma nemmeno nei confronti del prof. Zumbo il quale, se riterrà, potrà continuare l’interessante discussione.
La mia risposta l’avete potuta leggere nell’articolo in cima a questa pagina ma lo riporto qui di seguito nella sua versione integrale (la giornalista ha dovuto sintetizzarlo per motivi di spazio;QUI potete trovare il testo originale):
Gentile dott.ssa Annarosa Macrì,
Le scrivo da Decollatura, nome sulla cui etimologia è recentemente intervenuto il prof. Zumbo con una lettera in risposta a un suo “maturo” studente, Filippo Cardamone che conosco personalmente. Io sono nato e vivo a Decollatura, dove ho portato avanti contemporaneamente il mio lavoro di docente (da due mesi in pensione) di Matematica e fisica nel Liceo e la ricerca nel campo storico. Quest’ultima attività mi ha spinto a pubblicare alcuni saggi – su Michele Pane e sulla storia del territorio – nonché a essere propulsore dell’avvio di ricerche archeologiche che hanno dato risultati sorprendenti. Tornando al tema dell’etimologia di Decollatura, sembra proprio di essere davanti a un mistero. Anch’io ritengo che l’origine del nome non abbia niente a che fare con decapitazioni o con Pirro, finora le principali ipotesi in campo. Escludendo le ipotesi fantasiose sulla derivazione del nome da Thurii, de collis ituri, ecc. non rimaneva alcuna altra possibilità. A questo è dovuto lo sgomento di Cardamone davanti all’assenza di risposte certe, o almeno di buone ipotesi alternative, quelle che in qualche modo si aspettava di trovare nel mondo universitario cui con tanta fiducia si era rivolto affrontando i disagi dei frequenti spostamenti. Anch’io avrei auspicato un maggiore interessamento sul territorio da parte del mondo accademico, magari attraverso l’assegnazione di tesi agli studenti oppure di un intervento diretto, ma purtroppo ancora si è visto poco. Spinto dalla necessità, ho seguito una strada diversa. Al metodo storico secondo cui prima di ipotizzare o pronunciarsi su qualcosa bisogna imbattersi in un testo o in una ceramica che manifestino un dato incontrovertibile, ho preferito il metodo scientifico, quello che mi viene dagli studi e dalla laurea in Fisica, secondo il quale le scoperte si fanno partendo da ipotesi prodotte sulla base dell’osservazione e della propria capacità di vedere nessi tra i vari elementi, anche quelli prima trascurati, poi andando a cercare le conferme.
Ecco quindi che in un mio volume pubblicato nel 2017 ho esposto un’ipotesi di lavoro che qui riassumo brevemente. Parto dalla constatazione che la peculiarità alla base della prima occupazione del territorio di Decollatura è proprio la sua posizione di controllo dell’accesso al valico che mette in collegamento il golfo di Lamezia e l’entroterra della pre-Sila e la stessa Sila. Non c’è un modo agevole per raggiungere velocemente il Tirreno senza passare da Decollatura, nemmeno per i Canadair che d’estate vediamo solcare il nostro cielo. Il controllo del territorio e del valico sono dunque, con tutta evidenza, l’elemento fondativo alla base dei primi insediamenti di Decollatura. Se fosse così, è in questa direzione che si trova la soluzione etimologica del suo nome. Passando alla fase della verifica dell’ipotesi, osserviamo che esiste l’antico quartiere Passaggio, così chiamato proprio perché lì, fino al 1792, il feudatario imponeva il pagamento di un tributo per il transito in direzione di Nicastro, e quindi del Tirreno, e che appaltava a terzi per 74 ducati annui. È chiaro che doveva essere un punto obbligato di transito perché, se ci fossero state strade alternative, tutti avrebbero evitato il pagamento. Il passaggio da Decollatura di Carlo V nel 1535, la strada postale Cosenza-Nicastro parte della Napoli-Reggio che ha lasciato traccia nel toponimo “Via dei Cavallari”, i ritrovamenti di resti di ceramiche risalenti al periodo greco-romano nelle vicinanze, le ceramiche a impasto ancora più antiche, i resti di una strada (forse romana), il toponimo “Piano Romano” esteso a tutta la zona di cui sto parlando, il toponimo Reventino – di cui Decollatura è la porta di accesso – mai affrontato dal mondo accademico ma probabilmente connesso con un Repentinus romano, la presenza di un grandissimo numero di pietre coppellate soprattutto nei pressi dei percorsi di montagna, sono tutte testimonianze che da qui si doveva necessariamente passare e che a qualcuno “piaceva” controllare chi lo faceva. Per chiudere il cerchio occorreva cercare e trovare un nesso tra questa caratteristica fondativa di Decollatura e il suo nome, cosa cui credo di essermi avvicinato molto considerando che l’antico nome del tributo per il passaggio è corretura, quindi il nome alternativo del quartiere di cui sopra, anzi quello precedente esteso in senso lato a tutto il territorio, sarebbe stato Corretura. Chi conosce l’utilizzo antico delle abbreviature nella lingua scritta (diplomi, pergamene, atti giuridici) sa che per leggerle e sciogliere correttamente un testo è necessario conoscere la parola intera altrimenti si interpreteranno le poche lettere scritte con la parola sbagliata. Eccoci arrivati alla parte finale del mio ragionamento: qualche copista che non conosceva la parola corretura e quindi neanche de corretura scritta omettendo lettere e inserendo trattini, punti o tilde, nello sciogliere qualcosa contenente di leggibile forse solo un “de” iniziale o un “ra” finale abbia pensato a decollaturam, suggestionato dalla somiglianza con quanto capitato a san Giovanni, come chi era abituato a leggere libri religiosi, specialmente se era un frate conventuale. Ecco quindi l’equivoco che avrebbe dato origine al nome di Decollatura, ipotesi da perfezionare e da verificare ulteriormente ma non sottovalutare perché, come ha avuto il coraggio di scrivere Roberto Spadea nella Prefazione al volume “1a Carta archeologica del territorio di Decollatura”, nel 1982 si era sbagliato nel classificare come poco interessanti i resti di una sepoltura ritrovata fortuitamente a Decollatura in occasione di lavori agricoli, poi dimostratasi essere parte di un ampio contesto romano e magno-greco. La prova regina alla mia ipotesi sarebbe il ritrovamento di una pergamena originale risalente, per esempio, agli anni intorno al 1000-1200 in cui fosse presente il nome Decollatura e vederne la scrittura abbreviata. Queste pergamene esistevano ed erano relative agli atti di donazione di terreni posti a Decollatura all’Abbazia di Corazzo, giunte fino a noi solo in copie del ‘600, quindi con la lettura fattane dai monaci dello scriptorium della stessa abbazia. Chissà che prima o poi non si trovi qualcosa, ora che, secondo la mia ipotesi, sappiamo cosa cercare.
Nel salutarla cordialmente e ringraziarla per l’ospitalità, mi unisco volentieri alla sua richiesta di “assoluzione” per lo studente Cardamone.
Giuseppe Musolino, Decollatura
Spiego il senso della lettera. Parto innanzitutto dichiarandomi d’accordo col prof. Zumbo (non che questo possa contare qualcosa, certo!) perchè il nesso tra la cruenta battaglia e l’etimologia di Decollatura non esiste e anch’io penso che qui non ci sia stata nessuna decapitazione. Ma — e qui vengo alle ragioni dello studente — perchè non ci viene proposta una soluzione alternativa? Di chi dovrebbe essere il compito di provare a tirare fuori un’ipotesi etimologica alternativa e accademicamente corretta, prodotta da chi sa di latino, di greco e di tutte le lingue antiche? Lo stesso prof. Zumbo la definisce una vexata quaestio risolta da tempo. Lui si riferisce alla battaglia mai avvenuta, e siamo d’accordo, ma rimane aperta l’etimologia di Decollatura, quella su cui in genere si preferisce glissare. Certo, è un terreno scivoloso: si rischia di sbagliare o commettere qualche gaffe e quindi gli storici di professione cercano, se possono, di evitare di pronunciarsi. Noi, che storici di professione non siamo ma solo appassionati ricercatori e innamorati della nostra terra, siamo dovuti uscire allo scoperto e, se devo dirla tutta, i risultati non sono mancati, se non in questo specifico aspetto almeno su molti altri.
Alcuni esempi di abbreviature (da Wikipedia)
Esempio di abbreviature: Manoscritto del XVI secolo
Venendo all’etimologia di Decollatura e rimandando, per chi avesse voglia di leggere un libro, al mio volume, credo possa bastare la sintesi presente nella lettera ad Annarosa Macrì. Non mi dispiacerebbe avere osservazioni in merito, anzi ne sarei felice, se servissero a portarci ancora più vicino alla verità.
Oggi il Comune di Decollatura compie il 218° anno di vita poichè vide la luce il 29 aprile del 1802 dopo una lunga e difficile vertenza che si svolse presso la Regia Camera della Sommaria di Napoli. L’intera vicenda è stata dettagliatamente da me raccontata nel libro Decollatura. Volume I pubblicato nel 2017. Si tratta quasi di un romanzo tanti sono stati i colpi di scena che si sono verificati nella causa promossa dai nostri leggendari fondatori con a capo Giuseppe Scalzo, mai abbastanza ricordato.
Quella che segue è l’immagine del primo sigillo adottato dal Comune che riporta la scritta «TERRA DI DECOLLATURA – S. BERNARDO ABATE – 1802» e all’interno dell’ovale una semplice quanto bella rappresentazione del santo con le mani giunte e l’insegna del potere abbaziale sul capo. E’ una bella immagine, naif certamente ma molto più bella e, quel che più conta, autentica perchè scelta dai fondatori del Comune 218 anni fa. Al suo confronto, per la bellezza della semplicità e per la forza evocativa dei simboli che contiene, l’anonimo emblema dei tre colli con albero di castagno e spighe che oggi ci ritroviamo impallidisce, ma in questo campo niente è definitivo…
Il primo sigillo usato dal Comune di Decollatura nel 1802
Autografo di Giuseppe Scalzo, primo Sindaco di Decollatura
Giuseppe Scalzo era nato a Passaggio il 25 marzo 1759 da Giovan Domenico e Ippolita Renzo (morirà all’età di quasi novant’anni il 24 luglio 1848). Divenuto col tempo un discreto proprietario di terreni e uomo inserito nella struttura di gestione del territorio poichè non solo si occupava delle sue diverse proprietà ma anche degli incarichi amministrativi assunti per conto della Principessa d’Aquino. Era quindi un uomo molto conosciuto e inoltre poteva contare su legami familiari con il notaio Filippo Pirri, un altro protagonista della conquista dell’autonomia amministrativa di Decollatura.
“Atti ad istanza delli Cittadini delli Casali tutti dell’Università di Motta Santa Lucia sotto la denominazione di Decollatura in Provincia di Calabria Citra”
Fascicolo della causa di divisione (Archivio di Stato di Napoli).
E infatti di conquista si deve parlare perchè Decollatura è stato l’unico Comune del circondario ad aver conquistato la sua autonomia non in occasione di revisione dei confini amministrativi che periodicamente si sono avuti o per concessione del re, ma per la determinazione con cui il popolo sostenne la causa di separazione da Motta Santa Lucia.
Il 29 aprile è la data in cui fu stipulato un dettagliato accordo di separazione tra l’Università di Motta Santa Lucia e Giuseppe Scalzo per conto della nascente Università di Decollatura (Università era il vecchio nome dei Comuni). A questa data ancora in effetti il Comune in quanto istituzione non era ancora ufficialmente nato perchè ci doveva essere l’elezione del Sindaco, la nomina del primo e Secondo eletto e, cosa che più interessava al governo centrale, la nomina dell’esattore delle tasse che da quel momento in poi l’Università di Decollatura avrebbe dovuto versare allo stato. Poichè questi adempimenti furono felicemente portati a termine (nel libro racconto come, quando e da chi), la Regia Camera della Sommaria indicò proprio il 29 aprile 1802 come data da cui sarebbe decorsa l’autonomia.
Il marchese Nicola Vivenzio, presidente della Regia Camera della Sommaria che firmò gli atti relativi a Decollatura
Ricordiamo quindi con orgoglio i fasti del passato auspicando che questa ricorrenza del 29 Aprile possa essere presto inserita fra gli appuntamenti fissi dell’Anno Amministrativo, insieme alla Festa del 25 Aprile, del Primo Maggio, del 2 Giugno, del 4 Novembre, del 9 Maggio Festa dell’Europa, della festa del Santo Patrono del Comune del 15 Agosto.
Sono ormai diverse settimane che la vita di pressochè tutti gli abitanti del pianeta è stata sconvolta a seguito dell’epidemia del Coronavirus. Non manca l’informazione attraverso la Tv, i giornali e la rete per cui tutti conosciamo la situazione momento per momento. Tuttavia ho deciso di scrivere questo post per condividere alcune cose che mi è capitato di leggere in questo periodo e che mi sembrano interessanti perchè stimolano riflessioni a 360 gradi sulla malattia e sulla società.
Inizio parlando del libro di Jared Diamond Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni pubblicato in Italia da Einaudi nel 1998 e segnalatomi da mio figlio Giorgio. Diamond è un poliedrico studioso americano nato nel 1937 a Boston, attualmente professore di geografia e di scienza della salute ambientale presso l’Università della California, ma con un passato di biologo, antropologo e relative interconessioni. Il saggio fondamentale che gli valse il Premio Pulizer nel 1998 (vedi copertina qui a fianco) indaga in profondità sull’evidente differenza che c’è tra il mondo cosiddetto occidentale e bianco e le aree meno ricche e fornite di beni del pianeta come l’Africa, tanto per fare un esempio. Per sviluppare il suo ragionamento Diamond parte da una domanda che dice di aver ricevuto da Yali, un abitante della Nuova Guinea: “Come mai voi bianchi avete tutto questo cargo e lo portate qui in Nuova Guinea, mentre noi neri ne abbiamo così poco?“, ove con cargo Yali si riferiva a tutti i beni, tecnologici e non, di cui i papuani erano privi mentre i bianchi che lui vedeva arrivare erano abbondantemente forniti. La domanda, afferma Diamond, può essere posta anche in un’altra forma, ancora più destabilizzante: perchè sono stati gli europei e gli americani a sviluppare una tecnologia di cui si sono serviti per invadere tutto il pianeta e non, per esempio, gli egiziani, i sumeri, o gli antichi cinesi i quali erano attivi molti secoli prima di loro? Perchè l’Europa ha colonizzato l’Africa e non è successo l’inverso? In tutto il volume di 400 pagine si sviluppa un ragionamento basato anche sulle osservazioni dirette che l’Autore aveva avuto modo di effettuare in giro per il mondo durante gli studi di antropologia e infine giunge a una conclusione che non sembra ammettere repliche: gli europei e i cosiddetti “occidentali” ebbero dalla loro l’alto numero di abitanti consentiti dallo sviluppo dell’agricoltura che forniva alimenti abbondanti in grado di sostenere un numero potenzialmente illimitato di persone fra le quali c’era circolazione di idee, concorrenza, scambio di informazioni, tutti elementi fondamentali per l’introduzione di nuove tecnologie e nuove scoperte. Ma perchè l’agricoltura si sviluppò proprio in Eurasia e non in Africa o in America? Diamond svolge un’analisi dettagliata e dimostra che lo sviluppo secondo la direttrice Est-Ovest del continente europeo consentì per via delle condizioni climatiche pressochè analoghe, nonchè l’assenza di insormontabili ostacoli naturali, la rapida diffusione delle piante alimentari domesticate ad alta produttività. L’Africa e l’America hanno sviluppo prevalentemente in direzione Nord-Sud e questo impedisce l’applicazione delle medesime tecniche colturali da un punto all’altro per via delle notevoli differenze climatiche.
Il decisivo contributo favorevole allo sviluppo europeo e successivamente occidentale in senso più largo, venne dalla possibilità della domesticazione di animali da carne e, soprattutto, da lavoro che hanno aiutato i primi agricoltori a passare dall’economia di sussistenza dei primi cacciatori-raccoglitori a quella dell’opulenza delle società agricole. In Africa e in America, afferma Diamond, non c’è un solo animale di grossa taglia suscettibile di domesticazione e quindi quegli uomini non poterono mai intraprendere il cammino che porta alla produzione di beni nelle quantità necessarie per mantenere quell’élite dedita all’innovazione e alla struttura politica centralizzata che noi chiamiamo stato con tutto il suo apparato di scribi, studiosi, astronomi, soldati, costruttori, inventori, artigiani, e così via. Fu in questo modo che gli europei si dotarono di armi di acciaio, di cavalli, di buoi per aratura e traporto, di animali da carne e lana, di edifici, di strade e tutto ciò che serve a conquistare e sottomettere popoli. Esemplare è la vicenda dei conquistadoresspagnoli che con pochi uomini ma dotati di cavalli e spade di acciaio riuscirono in poco tempo a conquistare popoli del sudamerica che erano enormemente più numerosi ma poco dotati di tecnologia e senza cavalli. L’altro alleato che ebbero gli occidentali — e qui mi avvicino al tema del post — furono degli esseri invisibili e micidiali di cui erano portatori i conquistatori e cioè i virus responsabili di malattie letali cui gli indigeni americani e africani non erano preparati a resistere perchè mai li avevano incontrati prima. I virus, la vera arma segreta dei popoli europei, avevano da sempre accompagnato la loro evoluzione poichè solo in Europa e nel vicino oriente c’erano le condizioni per la sopravvivenza dei minuscoli microrganismi: la grande densità di popolazione resa possibile dall’agricoltura e la vita in promiscuità con gli animali domesticati, condizione che abbiamo visto essere connaturata con la pratica dell’agricoltura. Ecco tutto d’un tratto che ci appare chiaro il legame tra agricoltura, densità di popolazione, domesticazione e coabitazione con gli animali, con la presenza dei virus che, periodicamente, sfocia in terribili epidemie. E’ ovvio che virus e alta densità di popolazione sono un binomio inevitabile: come potrebbero diffondersi e sopravvivere, per non dire anche mutare, degli “esseri” incapaci di riprodursi autonomamente in mezzo alla foresta amazzonica dove, dopo aver eventulmente avuto sviluppo in qualche individuo e aver contagiato e distrutto tutta la sua tribù di non più di 10-20 individui, si estinguerebbe per la mancanza di altri soggetti cui passare per poter sopravvivere. Se anche siano avvenute nascite di virus in luoghi a bassa densità di popolazione, certamente si saranno estinti senza dare origine nemmeno a gruppi di popolazione resistente, perchè mancava proprio la popolazione. Ecco perchè quando la civiltà dei bianchi è venuta a contatto con quella dei nativi americani o africani sono state solo le malattie dei primi ad aver stermianto i secondi e non viceversa, a parte qualche malattia particolare che qui non è rilevante. Armi, acciaio e malattie, il titolo del libro di Diamond, riassume bene i punti di “forza” della civiltà occidentale, forse ancora più chiari nel titolo originale del libro Guns, Germs and Steel dove germs è particolarmente efficace nel descrivere una delle armi più letali a disposizione dei conquistatori. Ritornerò alla fine su questo libro per mostrare una cartina in cui sono evidenziati i luoghi in cui hanno avuto origine gli stati organizzati più forti della storia dell’umanità per metterli in relazione con qualcosa che andremo a scoprire qui di seguito.
Quando era già iniziata l’epidemia del Covid-19, mi sono soffermato a riflettere su un dato che mi era noto a livello storico globale e poi anche a livello locale. Parlo dell’epidemia più grande della storia recente e cioè quella avvenuta un secolo fa conosciuta con il nome di Spagnola. Siamo nel 1918 e in piena Prima guerra mondiale. Nel mese di ottobre in tutto il mondo si diffonde una terribile epidemia già iniziata in primavera che si va a sovrapporre alle campagne belliche. Solo la Spagna che non partecipò al conflitto consentiva alla libera stampa di diffondere i dati sui contagiati e morti, mentre gli altri paesi imposero la censura per evitare che si creasse un cortocircuito tra i soldati nelle trincee e le famiglie decimate dalla malattia con esiti negativi sul morale e, in definitiva, sugli esiti delle campagne militari. Fu così che l’epidemia fu identificata col nome della nazione apparentemente più colpita — e pertanto individuata come focolaio iniziale — mentre la verità era di tutt’altra natura. Mentre ero alla ricerca di qualche studio sull’epidemia di spagnola, ho trovato in rete un articolo molto interessante. E’ superfluo che aggiunga che si tratta di una fonte autorevole e cioè della rivista dei medici infettivologi e di malattie tropicali dell’Università di Salerno dal titolo «Le Infezioni in Medicina», Official Journal of the Italian Society of Infectious and Tropical Diseases (il numero 2 del 2020 è giustamente dedicato al COVID-19 ed è consultabile qui).
L’articolo di cui parlo è stato pubblicato dai proff. Sergio Sabbatani e Sirio Fiorini (degli ospedali di Bologna e Budrio) nel 2007 col titolo La pandemia influenzale“spagnola” in «Le Infezioni in Medicina» (n. 4, 2007, pp. 272-285 consultabile qui. Notare la citazione del patologo e clinico di Conflenti Tommaso Pontano). I dati fanno impressione: in tutto il mondo ci furono 1 miliardo di contagiati, almeno 25 milioni di vittime e in Italia, dopo 11 mesi di pandemia, si contarono 600mila morti. Ma l’articolo è importante non tanto per le informazioni numeriche, d’altronde già note, quanto perché gli autori ricostruiscono il percorso seguito dal virus per circolare fino a noi e, soprattutto, per le importanti ipotesi sulla sua origine. Lascio al lettore il piacere di leggere integralmente l’articolo e vado alla parte che qui interessa. Ecco cosa scrivono gli autori:
Usa, 1918. Anche allora l’uso delle mascherine era considerato uno dei migliori provvedimenti per contenere il contagio dell’infezione.
Il quesito che virologi, epidemiologi e clinici si sono posti e sul quale continuano a indagare è come e perché l’evoluzione epidemica, dopo la prima fase primaverile [del 1918], assunse le caratteristiche maligne che, a partire dal mese di settembre, determinò la morte nel mondo di decine di milioni di persone. Vastissima è la letteratura che si è occupata dell’argomento e le tesi proposte sono articolate e problematiche. Come già accennato, una sintesi della complessa materia potrebbe indicare che il virus pandemico del 1918 poteva provenire direttamente dai volatili. Infatti, secondo alcuni studiosi, il virus avrebbe infettato gli uomini adattandosi ad essi nella fase primaverile, poi sarebbe passato ai maiali e da questi sarebbe nuovamente transitato agli uomini, con aumento della virulenza, nella fase autunno-invernale. Il modello spiegherebbe perché chi contrasse l’influenza in primavera non si sia riammalato in autunno e in inverno. Queste ricerche importanti, hanno comunque il limite di studiare un virus assemblato su materiale genetico di soggetti deceduti più di ottanta anni fa, con ricostruzioni di geni effettuate in laboratorio. […] È difficile stabilire quali furono i percorsi dell’epidemia nel nostro paese: le città sembravano essere flagellate più precocemente, maggiormente bersagliati erano i quartieri affollati, ove l’igiene scarseggiava, ma numerose erano le eccezioni. Dalle città capoluogo l’epidemia si spostava nei comuni della provincia, ove si osservava una diffusione più lenta. Il tasso di letalità, all’epoca avvalorato dalle autorità, era tra l’1 e il 2%, ma in certe città raggiunse l’8%. Nei centri abitati, ad alta densità abitativa, la durata dell’epidemia era più breve, dopo 20-30 giorni i casi nuovi tendevano a diminuire. Nelle città più importanti del paese si registrò una fase ascendente di un paio di settimane, con l’acme nella seconda metà di ottobre, con tendenza a decrescere in novembre. Secondo l’Istituto Centrale di Statistica, la regione che ebbe in assoluto il numero maggiore di morti fu la Lombardia (36.653), seguita dalla Sicilia (29.966). Le regioni con i più alti tassi di mortalità per Spagnola furono Lazio, Sardegna e Basilicata. Va precisato che questi dati sono parziali e non riflettono assolutamente l’andamento dell’epidemia. Per la Spagnola non si osservò un maggior coinvolgimento delle classi meno abbienti rispetto alle più agiate, come di solito si rilevava nelle epidemie. In riferimento alla professione, gli italiani più colpiti furono quelli che per ragioni di servizio avevano frequenti contatti con i contagiati: infermieri, negozianti, autisti, telefonisti. La malaria, la tubercolosi, le malattie croniche di cuore furono tra i fattori predisponenti più importanti nei soggetti che ebbero un’evoluzione infausta.
L’impressione generale fu che il sesso femminile sia stato più colpito rispetto al maschile, ma tale rilievo è viziato dalla sproporzione determinata dal tributo in vite umane maschili conseguenti al conflitto che, nell’autunno del 1918, incideva pesantemente sugli equilibri demografici del nostro paese. Dell’evidenza che l’epidemia fu particolarmente aggressiva nei confronti dei giovani si è già parlato. Le aspettative di vita, che nel 1918 scesero a 30 anni per gli uomini e a 32 anni per le donne, non avevano mai raggiunto un valore così basso in Italia dalla metà del XIX secolo.
Il passo più importante dell’articolo è, secondo me, quello in cui si parla del luogo di origine del virus:
Diversi epidemiologi hanno ipotizzato che il virus della spagnola si sia diffuso originando dalla provincia del Kwangtung [Guandong], che in origine questo virus albergasse negli uccelli e che, grazie a modificazioni genetiche, si sia trasmesso ai maiali determinando un’influenza suina e poi si sia trasferito all’uomo. È stato ipotizzato che ci sia voluto circa mezzo secolo per la trasformazione del virus da aviario in umano e che, al termine di questa mutazione, sia diventato un ceppo letale per gli esseri umani. Questa ipotesi vedrebbe appunto nella Cina meridionale l’origine del virus.
Posizione della città di Wuhan rispetto alla provincia del Guandong (distanza circa 600 km)
Ma che cos’ha di speciale questa regione? Lo spiegano gli autori dell’articolo:
Secondo Kennedy Shortridge [professore di microbiologia all’Università di Hong Kong], l’Asia, e in particolare la Cina meridionale, sarebbe l’epicentro delle epidemie influenzali. Il virus viene ospitato nei volatili, le anatre principalmente, allevate in gran numero in questa regione. Si creerebbe un circuito ove entrano in gioco le anatre, i maiali e l’uomo. Fin dal secolo XVII i contadini cinesi trovano l’opportunità di tenere le risaie libere da erbacce e insetti grazie all’utilizzo delle anatre. Mentre il riso cresce, lasciano nelle risaie sommerse le anatre, che mangiano gli insetti e le erbacce, ma non toccano il riso. Quando questo comincia a maturare, tolgono le anatre dalle risaie e le spostano nei canali e negli stagni. Dopo il raccolto, riposizionano le anatre nelle risaie ora secche. Qui i volatili si cibano dei grani di riso caduti a terra, ingrassando considerevolmente. La zootecnia dei suini viene svolta in contiguità con i volatili, così si realizzerebbe il passaggio del virus influenzale ai suini e da questi l’adattamento del virus nei confronti dell’uomo si realizzerebbe attraverso modificazioni genetiche. A sostegno di questa tesi ci sarebbe l’evidenza che le epidemie influenzali sembrano cominciare sempre in quella regione dell’Asia corrispondente alla Cina meridionale.
L’articolo che ho ampiamente citato risale a 13 anni fa ma sembra scritto ieri stante la perfetta corrispondenza con quello che sta accadendo oggi: la stessa regione di origine, stessa diffusione, stesso decorso sia pure con differenze cliniche dovute alla caratteristiche specifiche del coronavirus. E in effetti, a pensarci bene, non è vero che ogni anno in Europa e nel mondo, all’arrivo della stagione autunnale, si attende l’arrivo dell’immancabile epidemia influenzale il cui ceppo viene sempre puntualmente isolato nelle regioni orientali e sulle risultanze vengono poi preparati i vaccini per tutti noi? Perchè dovrebbe arrivare sempre dalla stessa regione del mondo se non ci fosse, come evidenziato qui sopra, un serbatoio perenne di virus mutanti che alberga in animali sempre in stretto contatto gli uni con gli altri e poi con l’uomo? La storia dei pipistrelli e dei topi che quest’anno è andata assai di moda e potrebbe anche avere qualche fondamento, non spiega la vera genesi della mutazione e della diffusione del contagio. Anche ammettendo (appurarlo spetta agli scienziati) il coinvolgimento dei pipistrelli come vettori intermedi, resta sempre aperta la domanda su dove risieda il serbatorio di virus da cui spunterà l’ennesima mutazione per la seconda ondata autunnale e quella invernale.
Anche se mi sono leggermente dilungato su aspetti medico-scientifici che vanno lasciati alle persone competenti in materia, torno al discorso iniziale. Confrontiamo tre cartine che indicano rispettivamente: 1) i luoghi di origine dell’agricoltura; 2) la densità di popolazione del pianeta Terra; 3) il flusso di trasmissione dell’epidemia di Spagnola nel 1918; 4) la distribuzione dei casi di COVID-19 al 12 aprile 2020.
1) I luoghi di nascita dell’agricoltura nel mondo
2) Densità di popolazione sulla Terra (da: https://en.wikipedia.org)
3) I flussi di diffusione dell’epidemia di Spagnola nel 1918
4) Concentrazione dei casi di COVID-19 (aprile 2020)
Che cosa si nota in queste immagini? Che gli eventi rappresentati si verificano tutti nelle stesse zone: la fascia media-temperata al nord dell’Equatore, con esclusione delle latitudini troppo elevate (Diamond aggiunge anche la cartina che indica le zone di invenzione della scrittura, fondamentale per promuovere la nascita degli stati, e che è sovrapponibile alle altre). La conclusione che si può trarre, seguendo lo studioso americano, è che si tratta di fenomeni tutti correlati, fenomeni che sono stati una conseguenza a cascata della prima rivoluzione, la nascita dell’agricoltura e la domesticazione degli animali “utili” all’uomo. La conclusione è amara perchè dobbiamo convenire che quella che è stata la spinta propulsiva verso ciò che noi chiamiamo “progresso” e che Yali chiama cargo, è anche all’origine della nostra sventura odierna. Oggi ci impressioniamo in modo particolare perchè assistiamo in diretta all’evolversi della situazione, ma in passato i numeri sono stati assai peggiori, anche perchè la scienza medica era totalmente impotente. Per farci un’idea di quello che accadde nel 1918, ho elaborato le statistiche dei decessi avvenuti a Decollatura (CZ) nel 1918 e li ho messi a confronto con quelle degli anni immediatamente precedenti e successivi. E’ evidente che nel 1918, su circa 5200 abitanti, ci siano stati almeno 70-80 morti in più rispetto agli anni vicini e ciò significa che questi sono i numeri presumibili dei morti a causa della Spagnola (circa l’1,4% della popolazione).
Parlare oggi dell’epidemia di Covid-19 in termini di «evento mai visto», «la più grave epidemia di sempre» non fa onore a chi pronuncia queste parole perchè dimostra di avere poca conoscenza della Storia, e poca considerazione per i 600mila italiani che morirono senza alcuna cura di una epidemia molto simile.
Oggi l’enorme facilità degli spostamenti e il peggiormanto della situazione igienico-sanitaria in particolari zone dell’Italia (per limitarci al nostro territorio) causato dall’esistenza di allevamenti intensivi, rende ancora più vulnerabile e precaria la condizione sanitaria. Proprio ieri sera (13 aprile 2020) è andata in onda in Tv la puntata del programma Report dal titolo «Siamo nella ca…»(ogni puntino… una lettera) che si è occupato dello stretto rapporto tra densità deli animali negli allevamenti, il rilascio di ammoniaca nell’aria, la concentrazione di PM10 e la diffusione del Covid-19 (quii testi della trasmissione). Tutto in linea con quanto ho cercato di riassumere in questo articolo.
Come concludere? Le lacrime di coccodrillo non servono a niente, così come non serve rassegnarsi o annunciare l’approssimarsi dell’apocalisse. E’ invece urgente modificare il modello consumistico della società perchè se a livello globale i consumatori continueranno a chiedere carne — e anche a prezzi bassi — le multinazionali degli allevamenti troveranno sistemi per produrla, riversando — letteralmente — sull’ambiente e su di noi i rifiuti che ne conseguono, dalla CO2 al letame. Oltre alle cose negative prodotte dalla concentrazione della popolazione e dalla disponibilità di molto cargo, dobbiamo annoverare la scienza e l’accesso alla cultura, le uniche due risorse che forse ci permetteranno di sopravvivere se sapremo cogliere gli avvisi che ci arrivano, compreso quello del Covid-19 che ancora dobbiamo sconfiggere.
Forse non tutti sanno che a Roma esiste una via intitolata a «Decollatura». Si trova nella Zona XIX Casal Morena (oggi Municipio M07), certamente non al proprio al centro della Città Eterna, tuttavia è pur sempre una strada la cui esistenza ci fa sentire a casa quando ci troviamo a passeggiare da quelle parti.
Non so quanti di coloro che tanto spesso si recano a Roma si siano mai presi la briga di andarle a fare “visita” dal momento che sarebbe stato necessario per prima cosa conoscerne l’esistenza e poi essere disposti ad affrontare più di un’ora e mezza di mezzi pubblici tra metropolitana e autobus, partendo da centro città. Io l’ho fatto, come dimostrano le foto che potete vedere in questa pagina, e ne sono rimasto contento.
Il segnaposto rosso indica l’ubicazione di «Via Decollatura» a Roma.
Siamo quasi al confine esterno della città di Roma, in un quartiere con molte villette a due piani dotate di giardino, siepi e alberi ornamentali. Sembra quasi davvero una delle tante strade del nostro Comune e perciò ho detto che ci si sente a casa.
«Via Decollatura» fu istituita con deliberazione n. 5770 della Giunta Municipale di Roma il 13 settembre 1972, poi ratificata da Consiglio Comunale con delibera n. 1379 del 20 luglio 1973. Nella delibera di Giunta si istituiscono diverse altre strade e si indica per ciascuna di esse la spiegazione del nome scelto. Nel nostro caso è scritto «Via Decollatura: Comune della Calabria — Da Via Scido a Via Casignana ed oltre, fino ai confini del Comune». Non è la sola via della Capitale che è stata intitolata a Decollatura o a suoi personaggi perchè ci sono anche:
«Via Michele Pane — Poeta (1876-1953)» istituita nel 1985 (delibera Giunta n. 3538 del 23/04/1985, Zona XV Torre Maura Municipio M06)
«Via Luigi Costanzo — Educatore (1886-1958)» istituita nel 1981 (delibera Giunta n. 1607 del 10/03/1981, Municipio M14)
«Via Luigi Gigliotti» — Uomo politico (1897-1981)» istituita nel 1988 (delibera Consiglio Comunale n. 332 del 10/10/1988, Quartiere XXX San Basilio, Municipio M04)
Naturalmente a Decollatura «Via Roma» era stata istituita molti anni prima, forse più di cento anni fa (non sono a conoscenza della data), ed è l’asse principale dell’abitato di Cerrisi. Nelle sue vicinanze c’è la parallela «Via Trieste» con cui si incrocia in «Piazza Dante», tutte indicazioni toponomastiche di grandissimo valore, d’altronde come quelle di tutto il Comune, dedicate a valori identitari dell’Italia intera ma soprattutto ai valori risorgimentali e agli uomini che hanno fatto la Storia con la “S” maiuscola. Forse lascia a desiderare la qualità di qualche insegna ma anche quella prima o poi migliorerà.
In un prossimo post le foto delle altre tre vie di Roma che ho elencato.
Nel numero 250 di «Storicittà», la nota rivista mensile che Massimo Iannicelli pubblica a Lamezia Terme, potrete leggere il mio articolo «Il Bar Liceo di Decollatura di Vittorio Sacco ha compiuto 40 anni». L’idea della pubblicazione è nata quando la titolare del bar, Marianna Sacco, mi ha detto che per festeggiare degnamente l’importante traguardo del locale fondato dal padre, avrebbe organizzato una festa e per l’occasione avrebbe chiamato a raccolta i testimoni di quei primi giorni di attività del bar. A me aveva chiesto di scrivere qualcosa sulla storia del locale dal momento che lo frequentavo fin dalla sua nascita.
Ed è questo quello che ho fatto, inserendo nell’articolo anche una fotografia dell’esterno del bar che avevo scattato nel 1981.
La festa si è svolta l’11 agosto ed è riuscita benissimo, sia per l’impegno della titolare, sia per la bella giornata estiva, sia perchè tante persone si sono volute ritrovare nel bar che, si sa, nella vita di provincia rappresenta uno dei pochi punti fermi nella giornata di quasi tutti gli abitanti. Giorgio Scalzo, il figlio della titolare che si avvia verso la professione del grafico pubblicitario, ha dato prova di creatività e perizia curando la grafica della comunicazione dell’evento e, in particolare, alcune cartoline che sono andate a ruba e che vi mostro in questa pagina.
Bar Liceo durante la festa
Foto ricordo del 40° – Famiglie Sacco-Scalzo
Marianna Sacco in divisa mentre prepara un cocktail
Marianna è una barlady diplomata A.I.B.E.S. e può vantare la partecipazione a numerosi concorsi dove ha ottenuto discreti risultati come si può leggere sui siti del settore, tra cui quello che ricorda il suo piazzamento con Sofia, un cocktail di sua creazione.
L’articolo completo sulla festa dei 40 anni del Bar Liceo si può trovare sul n. 250 di STORICITTA’ di luglio-agosto 2019 reperibile nelle edicole del Lametino.
Siamo ormai in piena stagione estiva e i limiti delle capacità di organizzazione dei servizi dell’Amministrazione comunale di Decollatura sono evidenti, e già da diverso tempo. In particolare qui intendo riferirmi alla raccolta e smaltimento dei rifiuti che da diversi mesi versa nel più totale caos. Il servizio di raccolta porta a porta è diventato ormai un evento casuale sulla cui effettuazione regna l’incertezza, anzi la quasi sicurezza che non passerà il camioncino per ritirare il sacchetto previsto per quella data giornata. La raccolta carta è stata praticamente eliminata (si dice che “tanto non puzza” e perciò può essere tenuta in casa per un tempo illimitato); gli ingombranti non sono mai stati ritirati e non è possibile consegnarli nell’isola ecologica perchè, tranne il momento in cui escono o rientrano i camioncini, non c’è personale presente e l’accesso è chiuso.
Prima di andare questa mattina in Municipio per chiedere informazioni, mi ero già reso conto dello strisciante ritorno al passato con la comparsa in più punti dei micidiali bidoni per la raccolta di cui con tanti sforzi ci eravamo liberati. Ora sono blu, ben visibili e senza indicazioni sul contenuto da versarvi per cui c’è da ritenere che si abbasserà ancora di più (è già incredibilmente basso!) il valore della percentale di differenziazione.
E a proposito di questo, prendiamo atto che ancora non sono stati comunicati all’Arpacal (Agenzia regionale per la protezione dell’Ambiente della Calabria) i dati relativi alle percentuali di differenziata per il 2018, a meno che non si sia provveduto nelle ultime ore (ma non credo…), comunque in grande ritardo rispetto alla scadenza prevista per il 5 maggio 2019. Fuori dall’isola ecologica nei pressi di Via Iuliano, si è accumulata una grande quantità di rifiuti di ogni genere, abbandonati da persone certamente incivili e in violazione del regolamento, ma che evidentemente non hanno trovato alternative. Se vogliamo spezzare una lancia (ma non lo voglio fare) per qualcuna di queste persone, dalle fotografie che pubblico si vede che c’era stata la volontà di differenziare perchè in alcune buste si intravedono solo bottiglie di vetro o di plastica, ma poi l’utente (cattivo) ha deciso di disfarsene in maniera irregolare.
In questo anno di Amministrazione Brigante ci sono stati 4 avvisi ufficiali di sospensione/cambiamento del servizio di raccolta dei rifiuti, di cui l’ultimo (del 5 marzo scorso) è ancora in vigore dal momento che c’è scritto che sarebbe rimasto in vigore fino “a soluzione del problema” (quindi: fine validità “mai”). Se 4 sono stati gli avvisi, i giorni in cui non c’è stata raccolta senza alcuna preventiva comunicazione, sono stati molti di più. Per chi vuole verificare, ecco i link alle ordinanze presenti nel sito del Comune:
Questa mattina, come dicevo sopra, mi sono recato al Municipio per rappresentare il problema del disservizio subito dalla cittadinanza ma non ho trovato la Sindaca in quanto, mi hanno detto, era uscita poco prima. Sono comunque salito al primo piano dove ho trovato l’Assessore Serra al quale ho riferito le lamentele per il cattivo svolgimento del servizio raaccolta rifiuti. L’Assessore mi ha prima detto di «rivolgermi al Sindaco» e poi «che non si può fare altro con tre soli addetti in servizio». Non credo che siano queste le risposte da dare a un Consigliere in carica che rappresenta non delle problematiche personali ma dell’intera cittadinanza in virtù del suo mandato di rappresentanza. Avrei gradito un invito ad accomodarmi e ricevere maggiori informazioni sul piano rifiuti che immagino si stia preparando per la seconda quindicina di luglio e il mese di agosto quando, speriamo, il paese si riempirà di turisti e residenti fuori regione per lavoro, o se preferite di nostri emigrati che ritornano. E invece niente. Va bene, me ne farò una ragione, ma tanto ne riparleremo fra pochi giorni, quando dovremo parlare del Bilancio 2018 e giudicare se siano stati spesi bene i nostri soldi, comprese le salatissime tariffe TARI, non salate in sé (forse è da rivedere anche questo…) ma perchè scuciteci in cambio della non-erogazione di un non-servizio.
E allora, cari Amministratori, per qualche giorno lasciate i vostri profili Facebook dai quali ci ammannite le vostre foto con enormi portate di ostriche o con le vostre proverbiali prodezze da cercatori di funghi compulsivi, da imbonitori con frasi a effetto tratte da autori che noialtri poveri mortali neanche conosciamo. Risparmiateci l’eleganza sfoggiata in cerimonie regali, a noi che dobbiamo camminare facendoci strada tra le erbacce dalle dimensioni spropositate, tanto è il tempo che resistono ai lati delle strade senza che nessuno le disturbi. Risparmiateci le prove fotografiche delle vostre missioni fuori sede, e invece postate sul sito del Comune notizie aggiornate. Fate vedere che date visibilità positiva al nostro Comune, altrimenti ci pensano i quotidiani locali ad attribuire a Decollatura fatti, persone ed eventi che non ci appartengono.
Certo, prima o poi arriverà il tempo delle Processioni. C’è almeno rimasta questa speranza, che sarà l’occasione (forse) per vedere qualche ortica divelta dal suo abituale portamento eretto. Per il Parco Comunale, che è (quasi) fuori percorso, nessuna speranza; per gli altri spazi, come la villetta di Cerrisi o la piazza di San Bernardo, si spera ci siano i volontari.
Per il resto del territorio ci dovrà pensare il gelo invernale che, visti i cambiamenti climatici, forse nemmeno ci sarà! Lasciate Facebook e i ristoranti e andate negli uffici a deliberare, a progettare, a decidere, a programmare. Il tempo passa in fretta e un anno se n’è già andato…
Buona estate a tutti!
P.S. Non ho parlato del problema acqua — che potrebbe farsi vivo da un momento all’altro in forma ben più massiccia dei piccoli “assaggi” che abbiamo visto — e di tante altre cose, perchè me ne occuperò in un prossimo futuro.
Stay tuned, … rimanete sintonizzati...
Giuseppe Musolino, Capogruppo di Più Decollatura al Consiglio Comunale di Decollatura
Questa mattina, nell’edizione del programma Buongiorno Regione della sede regionale RAI di Cosenza, all’interno della rubrica di previsioni meteo, finalmente abbiamo visto comparire l’immagine del Reventino con qualche nuvola sulla sua sommità. E’ l’immagine che ogni 5 minuti la webcam del Liceo Scientifico «Luigi Costanzo» invia al sito dell’Osservatorio Meteorologico dell’istituto cui ho dato vita insieme agli studenti e grazie al sostegno del Dirigente Scolastico dott. Antonio Caligiuri.
L’ing. Fabio Zimbo, responsabile della rubrica di previsioni meteo della sede regionale calabrese della Rai, sensibile a quanto si svolge nel territorio della nostra regione, ha chiesto e ottenuto l’autorizzazione all’uso della nostra immagine del Monte Reventino all’interno del suo programma.
Questa mattina abbiamo per la prima volta visto in onda il nostro caro Monte e, per chi si fosse perso la trasmissione, ecco qui di seguito il breve filmato:
È online la Biblioteca virtuale di Decollatura: copertine, indicazioni bibliografiche e sintesi del contenuto dei libri scritti da autori di Decollatura o con argomento Decollatura, la sua storia, la sua cultura, i suoi personaggi.
Ultimi commenti
Le ho inviato una e-mail
Vorrei comprare una copia del libro "Michele Pane. La vita" ma nelle mie ricerche risulta non disponibile. Mi trovo negli…
Ogni nuova opera di Vittorio Butera contribuisce a ricostruire la sua personalità poliedrica e a valorizzare la Letteratura calabrese.
Grazie del commento e buon lavoro!
Buona l'idea di coinvolgere più realtà territoriali. E grazie per averci fatto scoprire un aspetto sconosciuto di Butera. Ora sotto…
Le ho inviato una e-mail